Ciò che possiamo licenziare

martedì 4 luglio 2017

Anche per Renzi c’è il ritorno alle origini.

Quando si invoca il ritorno alle origini si ammette il proprio fallimento: non tattico ma strategico. I vecchi partiti della prima repubblica mai parlarono di ritorno alle origini. Il primo scostamento di Renzi fu accettare gli endorsement di Franceschini, Fassino e Chiamparino. Gli endorsement non si pagano una sola volta, sono un leasing e il leasing politico ha rate infinite.

Matteo Renzi il rottamatore già cercava endorsement

In tutte le situazioni ci sono degli accadimenti che sono prodromi di fatti molto importanti che di lì a breve capiteranno. Oltre che prodromi, questi accadimenti sono detti indicatori. Per esempio, le vendite di carrelli elevatori e di cartone ondulato sono indicatori che segnalano lo stato di salute dell’economia.  Anche il volo delle rondini è un indicatore: se basso significa che pioverà, mentre invece se è alto il tempo sarà bello. La politica non fa eccezione: ci sono delle frasi che sono indicatori.

Per esempio la topica frase: «dobbiamo tornare alle origini.» è un indicatore di cattiva salute per chi la pronuncia. Di solito viene declamata dopo una qualche sconfitta, e sta a significare che il leader di cui sopra è alla frutta o giù di lì.  Gli esempi storici non mancano. Mussolini dopo la liberazione ad opera del maggiore Otto Skorzeny affermò che: ora basta, si deve ritornare alle origini del fasismo (non sapeva pronunciare il nome del movimento che aveva fondato! Sic). E fu Repubblica sociale e s’è visto come è andata a finire. Lo disse anche il Berlusconi Silvio: «Bisogna ritornare allo spirito del 1994», dopo l’ultima batosta elettorale e adesso ha un partitello al 13-14%, che solo Renzi può far contare qualcosa.

Adesso a rievocare lo spirito delle origini  ci si sta mettendo anche il Renzi Matteo. Aria grama, allora. Più che per il suo partito per lui e per i suoi, specialmente quelli che proprio suoi-suoi non sono, essendosi scapicollati all’ultimo per arraffare uno strapuntino. C’è da dire che nessuno dei partiti della prima repubblica, dal Pci alla Dc al Pri financo al Pli e al Psdi, per non dire del Msi, aveva mai fatto riferimento al così detto spirito delle origini poiché tutti, bene o male, stavano perseguendo ciò da cui avevano tratto origine. Magari non sempre con la più definita determinazione, ma gli scostamenti erano quasi accettabili. Ad eccezione dl Psi craxiano che lo spirito delle origini se lo era proprio dimenticato e quindi neanche poteva tradirlo.

Richiamarsi allo spirito delle origini significa nella sostanza ammettere di non aver fatto quello per cui si era nati, come dire aver mancato alle promesse e, in definitiva, ammettere il proprio fallimento. Il Renzi Matteo aveva promesso la liberazione da un gruppo dirigente appiccicoso, più al potere che agli interessi del Paese. Un gruppo dirigente che, contrariamente a quanto fatto dai vietcong: appropriarsi delle armi del nemico per rivolgerglieli contro, ha utilizzato il mandato degli elettori per dar copertura a quello che gli avversari non sarebbero riusciti a far passare. E forse proprio per questo il Renzi del camper e delle origini mieteva applausi nelle Case del Popolo.

Il primo errore, o abbandono dello spirito delle origini, il Renzi Matteo l’ha commesso quando nel settembre del 2013 ha accettato l’endorsement prima di Franceschini e poi quello di Fassino. E quindi quelli di tutti gli altri. Con Renzi ci sono sono più ex dalemiani di quanti lo stesso D’Alema abbia mai incontrato.  Così, con l’aria di essere il nuovo che avanza, il Renzi s’è messo a fare caminetti e trattative e inciucetti con i capi corrente. Li chiamerà stra-apple-otto-punto-zero, ma quello sono e quello restano. E uno dopo l’altro pensava di esserseli pappati, tutti i vecchi appiccicaticci. Credeva di utilizzarli come fossero dei taxi: far la corsa, pagare e scendere. Ma, proprio perché appiccicosi, da certi taxi non è così facile scendere. Anzi è il taxi che ti segue anche dopo aver pagato. E adesso se ne sta rendendo conto. Pensava il Renzi che l’acquisto fosse fatto una volta per tutte, ingenuo. Quotidianamente sta scoprendo che certi accordi non hanno il prezzo fisso ma sono dei leasing. E soprattutto che accendere un leasing non è come accendere un cero alla madonna. Fatto una volta per tutte. Il leasing politico va acceso e riacceso e riacceso. Tante volte quanti sono gli impicci contro cui si va a sbattere.

A poco servirà al Renzi ed ai suoi scudieri richiamarsi alle primarie, perché in direzione  dovrà fare i conti con i Bettini, i Bianco, i Chiamparino, i Crocetta, i Damiano, i De Luca, i Franceschini, i Fassino, le Finocchiaro, i Minniti, i Mirabelli,  e poi i Pittella (che loro sono due) le Pollastrini, le Sereni, i Veltroni giusto per dirne alcuni, tutta gente dalla lunga militanza che sanno come si elegge ma anche come si affossa un segretario.  E quindi o i caminetti o la rivoluzione. Ma per fare la rivoluzione, quella vera, ci vogliono i rivoluzionari e Renzi tutto sembra meno che un rivoluzionario. Si accomoderà, come già fatto, nei caminetti. Altrimenti rottami, rottami senza pietà a cominciare da quelli che gli stanno vicino.

Per fare il nuovo ci vuol altro che la semplice citazione e alla lunga anche un po’ di sostanza aiuta o si finisce come a Trapani: perdere anche quando si corre da soli.

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