Ciò che possiamo licenziare

venerdì 26 agosto 2016

Al terremoto mancava il fine umorismo di Sallusti. E le banalità degli altri .

Sallusti vuole che si ripeta il miracolo del duo Berlusconi-Bertolaso andato in scena a L’Aquila. Renzi: magari anche no. La solita solidarietà pelosa di politici che invadono twitter. I casi Lupi Serracchiani. Ferruccio De Bortoli gioca con le parole. E fa male.

Di Alessandro Sallusti tutto si può dire meno che non sia un fine umorista. Lo ha dimostrato molte volte nel suo disperato immolandosi in difesa del fratello del suo editore. L’ha fatto una volta di più (di immolarsi e di manifestare il suo sense of humor) scrivendo l’editoriale dal titolo «Forza Italiani Forza Renzi» apparso oggi, 25 agosto, sul quotidiano che meritatamente dirige. Solo a un fine umorista poteva venire in mente di raccomandare all’attuale Presidente del Consiglio di ispirarsi per la gestione del dopo terremoto di Amatrice a quanto fece il duo Berlusconi-Bertolaso sette anni fa a L’Aquila. 

Il simpatico direttore de il Giornale non si trattiene dal definire quell’operato come «il miracolo del duo Berlusconi-Bertolaso». E infatti è stato più che miracoloso andare a far passerella per ben 31 volte in quella martoriata città in meno di due anni di presidenza del consiglio, che neanche Naomi Campbell durante la settimana della moda. Per gli amanti della statistica significa quasi più di una volta al mese tenuto conto che negli ultimi del 2011 il Berlusconi Silvio aveva ben altre gatte da pelare. E altrettanto miracoloso è stato che nessuno si sia sfracellato al suolo stando sui balconcini delle case prefabbricate piazzate nelle sedicenti newtown. Così come ha anche del miracoloso che i denari immediatamente inviati da Obama, Merkel e dagli altri cinque capi di Stato presenti a quel G8 non siano stati adoperati per procedere hic et nunc alle opere cui erano stati destinati. E come non bastasse nella speciale classifica dei miracoli del duo B&B (che non sta per Bed&Breakfast anche se qualche attinenza con la prima delle due “b” senz’altro c’è) è il fatto che lo stato del centro storico de L’Aquila nel novembre del 2011, alla fine della trista avventura del Berlusconi Silvio a palazzo Ghigi fosse più o meno quello della mattina del 6 aprile 2009. Che poi nei cinque anni a seguire poco o nulla sia cambiato non è un buon motivo per giustificare il pregresso. Per chi infine avesse perso il senso della memoria, e senz’altro il Sallusti Alessandro è tra questi, può far un tuffo in quei giorni rivedendo il documentario di Sabina Guzzanti dal titolo Draquila. Comunque il Renzi Matteo ha già declinato l’invito sallustiano rispondendo in tempo quasi reale: «Non faremo quello che ha fatto Berlusconi.» Ottimo, finalmente. Sempre che poi non si arrivi a fare peggio che come noto al peggio non c’è limite.

Qualche dubbietto comunque il Renzi Matteo lo lascia dicendo «non lasceremo solo nessuno.» Che in potenza è una bella frase che però è già stata raccontata e in atto ha quagliato pochino.
Ma il simpatico Sallusti non è l’unico ad utilizzare strumentalmente il drammatico evento, ci si mettono anche i twittatori compulsivi quelli che non possono passare giorno senza che un loro cinquettio, quando non sono molti di più, invada noiosamente e melensamente twitter. L’importante è esserci al di là del senso e, talvolta, della decenza. In casi di calamità la solidarietà, quella virtuale s'intende va a fiumi, per quel che costa. E allora perché non aggiungerci anche un bell’abbraccio? Lo fanno, quasi con le stesse parole, sia Maurizio Lupi che Debora Serracchiani entrambi «si stringono alle famiglie delle vittime.» Frase che a ben guardarla, magari con un po’ di logica, non si capisce cosa voglia significare anche considerando il fatto che gli estensori della medesima se ne stanno ben distanti e magari anche comodi. Insomma il solito esercizio di retorica che nulla sposta sul lato pratico, specialmente se personale. Altro sarebbe se alle parole seguissero fatti come ad esempio impegnare l’orologio di famiglia o magari rinunciare ad una mensilità, soprattutto da parte di chi ne ha più d’una, e devolverne il ricavato a uno dei tanti fondi per la ricostruzione. Magari anche senza tanta pubblicità come fanno tutti quelli che silenziosamente mettono mano al borsellino. Detto così, senza malizia o retro pensieri.

Poi c’è anche chi si balocca con le parole e ne mette in fila un tot, calmierato solo dai 140 caratteri. Ferruccio De Bortoli scrive:«#terremoto il dolore per chi non c’è più, l’aiuto a chi soffre e ha perso tutto, il grazie ai tanti che si prodigano con tutte le loro forze»  Vien da rispondere: il dolore è cosa seria e va rispettato evitando di infilarsi abusivamente in quello di chi lo patisce, l’aiuto o è concreto o non è e quindi mano al portafoglio personale, magari aderendo all’insegnamento «non sappia la mano destra quello che fa la sinistra». La frasetta sul grazie riecheggia il solito “armiamoci e partite”. Magari un poco di silenziosa (e concreta) dignità aiuterebbe.

lunedì 22 agosto 2016

Matteo Renzi come Roberto Calderoli.

Apparentemente diversi eppur assai simili. Uno di destra dichiarata, l’altro di destra sospirata. Entrambi portano nel fisico i segni della lotta politica. Condividono lo stesso concetto d’eleganza come quello sulla coerenza. In quanto a sincerità si differenziano. Ma poco.

Il raffronto quasi sicuramente non piacerà a nessuno dei due eppure i loro tratti di somiglianza sono più d’uno.
Roberto Calderoli corruciato
Non che siano l’esatta fotocopia l’uno dell’altro,questo  neanche il Belpaese riuscirebbe a sopportarlo, c’è da immaginarselo un Paese con due Renzi o due Calderoli, ma di connotati in comune ne hanno, eccome.  A parte l’essere apparentemente su fronti opposti: dichiaratamente di destra il leghista apparentemente di sinistra il Renzi ma surrettiziamente su molti punti la pensa allo stesso modo, i due si assomigliano oltre ogni ragionevole dubbio. ,Anzi sono almeno quattro i punti in cui si sovrappongono.. E giusto per darne un’anticipazione questi riguardano le aree specifiche: del fisico, dell’eleganza, della capacità legislativa e last but not least della sincerità e coerenza.

Matteo Renzi ridanciano
Innanzi tutto il fisico. Entrambi sono arrivati sugli scranni del governo con una, se non eccezionale, almeno discreta forma fisica, poi man mano che le responsabilità gli si sono accavallate sulle spalle il loro giro vita, per dire solo di quello e senza voler parafrasare l’Alighieri, ha preso ad allargarsi in maniera quasi esponenziale in tutte le quattro direzioni cardinali. Aggiungendone pure una quinta dato che anche la legge di gravità vuole la sua parte. Quasi sicuramente, anzi per certo, entrambi sono degli asceti che tra un piatto di carbonara ed una mela mozzicata con un cracker senz’altro optano per la seconda. Entrambi, è sicuro hanno poca dimestichezza con il vino tanto che il rubizzo colore del Calderoli è dato solo ed esclusivamente dal tumultuoso fluire del sangue al cervello troppo oberato da elevati pensieri. Mentre il secondo ne ha così poca da far omaggio a papa Francesco di una cassetta di Chianti e vin santo  dicendo «per la messa e non solo». Non ha idea che altri al pari suo possano essere astemi.

Sull’eleganza siamo lì, anche se quella di Calderoli è un tantinello più spinta. Se il bergoleghista si fa immortalare con pantaloncini al ginocchio rigorosamente verdi e scarpe da passeggio il demo fiorentino si accontenta di completi blu elettrico con pantaloni lunghezza zompafosso che mostrano la creatività nella scelta dei calzini, che non pensi la Mekel non ci siano i denari per i pedalini, e giacche tanto corte da mostrare dove i pensieri del governare vanno a riposare, allargando l’adipe.

Sul versante legislativo, quando si parla di legge elettorale, paiono  proprio la copia l’uno dell’altro. A entrambi l’idea che a scegliere i parlamentari, deputati e senatori, siano gli elettori fa venire l’orticaria e quindi nelle due leggi elettorali proposte hanno deciso sia meglio che ci pensi la segreteria del partito. Il fatto poi che la legge di Calderoli, proprio per la questione dei nominati, sia stata bollata di incostituzionalità, non ha minimamente scalfito il tetragono Renzi. La voglia di giocare da solo con il voto gli è così forte da non fargli vedere dove la sua quasi fotocopia è stata bocciata dalla Corte Costituzionale. E perde di vista anche il più semplice buon senso, come un diabetico davanti alla vetrina di una pasticceria.

Sulla coerenza la sintonia tra i due è perfetta mentre a sincerità qualche differenziuccia, in effetti, c’è. Il Calderoli è così sincero da aver bollato la sua stessa legge come «una porcata». Doveva essere in uno di quei momenti topici quando il rubizzo del suo volto si fa più acceso. Proprio per il troppo afflusso di sangue ad alimentare la materia grigia. Ma ha poi bilanciato questa scivolata affermando (si è nell’agosto 2014) di essere prossimo ad abbandonare la politica affermazione reiterata il 1 settembre 2015, quando annunciò all’italico popolo l’intenzione di sposarsi e, non solo, di avere anche riscoperto i veri valori della vita che non son certo, parole più o meno sue, quelli della politica spoliticata. Quindi dipartita prossima ci si è detti anche se il fatto che i due annunci avvenissero a ridosso delle ferie  faceva pensare al detto «passata la festa, gabbato lu santu». Ché in effetti il Calderoli è ancora lì. Quasi stesso amore per la coerenza quello del Renzi che dopo aver strombazzato ai quattro venti e alle millanta comparsate su tutte le televisioni della nazione che se vincerà il NO al referendum si ritirerà dalla politica ha cambiato idea. Come ti sbagli. Resterà, eccome se resterà anche perché vorrà provare l’ebbrezza di autoeleggersi. Sulla sincerità invece la distanza con il Calderoli c’è tutta: questi ha definito come s’è detto la sua riforma elettorale, il Renzi ,invece, continua a chiamarla “esempio (magari fulgido) di democrazia”. Il che non è affatto bello.
Certo ci fosse il modo di liberarsi di entrambi si avrebbero meno democratiche porcate.


domenica 21 agosto 2016

A ognuno i burkini suoi.

I fronti pro e contro i burkini sono eterogenei quanto quelli sul referendum costituzionale. Se sono i centimetri quadrati di femminile epidermide scoperta a difendere l’occidente almeno in luglio e agosto non si corrono pericoli. Per l’inverno è altra storia. Sulla questione non è intervenuto Maurizio Gasparri e neppure Lorenzo Guerini, ma non bisogna farci l’abitudine. In compenso l’ha fatto la Serracchiani, non tutte le ciambelle escono con il buco.

Bikini, burkini e costumi interi: a ciascuna il suo
Che sulla questione dei burkini nel Belpaese si aprisse una polemicuzza agostana tutto sommato ce lo si poteva anche immaginare. Che ci fossero prese di posizione da parte di Santanché e Salvini e Meloni e poi di Maroni e via imbruttendosi,invece pure. Vuoi mai che si perda in agosto la capacità di  dichiarare. Che però il Gasparri Maurizio abbia taciuto sull’argomento è stata una piacevole novità. Ha taciuto anche Guerini. Però a questi silenzi non bisognerà affatto abituarsi. Purtroppo. Al loro posto ha parlato e scritto la Serracchiani che, beata lei, ha un’opinione su tutto. Così come è stato per contrario spiacevolmente ridicolo leggere che «il burkini è incompatibile con i nostri valori» L’ha detto Manuel Valls, primo ministro di Francia. Adieu libertè egalitè  fraternitè. Roba vecchia di quasi due secoli fa che Manuel Carlos Valls i Galfetti, migrante di Spagna non è tenuto a conoscere. Con ciò dimostrando che anche le bischerate sono globalizzate e non ci sono reti e filo spinato che tengano. Peccato. Comunque l’idea che i valori dell’occidente siano legati alla quantità di centrimetri quadrati di epidermide esposti dalle donne è nuovissima e dovrebbe tranquillizzare. Almeno nei mesi di luglio, agosto e parte di settembre l’occidente è ben difeso. In inverno invece ce la si batte alla pari.

I due italici fronti, pro e contro burkini, sono eterogenei quanto basta. Quasi quanto quelli che si  contrappongono al prossimo referendum sul cambiamento della costituzione. In quello contro stanno abbracciati i sunnominati Santanché-Salvini-Meloni-Maroni e inopinatamente Paolo Flores D’arcais, Lorella Zanardo che non approva il burkini perché una volta bagnato si riempie di sabbia, e la filosofa Donatella De Cesare con la quale di tanto in tanto sono d’accordo, ma non questa volta. Credo se ne farà una ragione.

Il fronte se non proprio pro burkni, almeno tollerante, è eterogeneo quasi quanto quello del NO al referendum e va dal cardinale Pietro Parolin, al suo antipatizzante Giuliano Ferrara alla sociologa Chiara Saraceno. Quest’ultima ha sostenuto, pur come ovvio non approvando la scomoda bardatura, che il burkini potrebbe essere un passo, magari piccolo, per l’emancipazione della donna islamica. Anche perché, ha sottolineato, «l’alternativa al burkini non è il bikini ma più semplicemente stare a casa. Non andare in spiaggia.» Con ciò dimostrando che c’è chi parla di quello che sa e chi sa di quello che parla. Alleluja.

L’idea di mandare vigili a pattugliar le spiagge e a far multe alle signore che non vogliono spogliarsi sarebbe piaciuta a Dino Risi che ne avrebbe tratto un esilarante episodio per la sua collezione di Mostri. Al senso del ridicolo non c’è limite. Senza contare che vigili o poliziotti o carabinieri furono mandati sulle italiche spiagge, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, con manuale d’istruzione e righello per misurare le dimensioni dei due pezzi. Sotto una certa misura scattava la multa. In quel caso si temeva che l’occidente sarebbe stato distrutto dalla troppa epidermide esposta. All’epoca l’occidente doveva essere debolissimo. C’è da scommettere che gran parte degli antiburkinisti di oggi sarebbero stati contro i bikini di ieri e viceversa.

Infine che proprio il sindaco di Cannes, crogiolo di libertà e di anticonformismo, si metta a discettare sui costumi da bagno e ad approvare questi e vietare quelli racconta di come l’occidente si senta debole. E di questo ci si dovrebbe preoccupare ed occupare.  Dopo di che: ognuno si faccia bellamente i burkini suoi.   


lunedì 15 agosto 2016

Spigolature di ferragosto 2016

Nulla di nuovo sotto il sole. Si conferma che le banche fallite prestavano soldi  solo a chi li aveva, come a prezzemolino Denis Verdini. Si riparla di Costituzione  e di date per il referendum: Renzi e Boschi impazzano.. Ma anche di migranti che a Capalbio li accettano ma solo se lavorano: la geniale idea di Chicco Testa.

Elena Boschi e Chicco Testa ridono. Che avranno mai da ridere
In questa prima metà d'agosto nulla di nuovo sotto un sol leone inopinatamente bagnato da acquazzoni fuori stagione. Questa è l'unica novità. per resto solita robetta da italietta.

Banche decotte.
Racconta un vecchio detto che per far fallire una banca e una assicurazione bisogna essere incapaci o inetti. Dimenticava l’autore della massima di aggiungere che bisognava avere anche molti amici. Come ti sbagli. È il caso, tra le altre, di Veneto Banca che prestava vagonate di milioni a chi, in teoria neanche ne aveva bisogno e che, comunque, sembra non abbia restituito. Almeno per tempo. Nell’elenco dei clienti cosiddetti affidabili, ma in realtà incagliati, si notano i nomi di Francesco Caltagirone Bellavista, già arrestato nel 2013 per il crac del porticciolo turistico di Fiumicino, deve solo 50 milioni.  Nel club del crac ci sta anche Vittorio Casale, anche lui arrestato per il fallimento dell’hotel Dolomiti, ha avuto crediti per 78 milioni. Poi, per non farsi mancar nulla, tra ecco la crème industriale e politica: Giuseppe Stefanel, Gianfranco Zoppas, Marco De Benedetti, Giancarlo Galan che lì era di casa e nientepopodimenoche prezzemolino Denis Verdini. Alleluja brava gente.

Referendum Costituzione 1
«Chi vota No al referendum non rispetta il lavoro del Parlamento» dice Maria Elena Boschi. Il che è come dire che il Parlamento è infallibile e bisogna essere d’accordo a prescindere. Nel ’68 si voleva la fantasia al potere adesso la si ha. Magari con più fantasia la ministra avrebbe potuto dire e non è detto che non lo dirà che chi vota No al referendum «non è figlio di Maria non è figlio di Gesù e quando muore va laggiù, laggiù da quell’ometto chiamato diavoletto»

Referendum Costituzione 2
Sul definire la data del referendum Matteo Renzi dice che non c’è fretta. Anzi aggiunge che a fare un sondaggio sulla riviera romagnola si scoprirebbe che la questione per nessuno è una priorità. Poi con volo pindarico dice che cambiare la Carta è fondamentale e che lo si aspetta da millanta anni. Se è vera la seconda tutti dovrebbero essere interessati alla data del referendum. Se è vera la prima il cambiamento della Carta non è una priorità. È solo questione di logica. Ad averla.

Referendum Costituzione 3
Matteo Orfini dice che sta girando l’Italia per spiegare la nuova Costituzione e che «quando si entra nel merito tutti capiscono che la vittoria del sì rafforzerebbe il Paese.» Sarà. Viene il dubbio che non parli mai del nuovo articolo 70. Leggendo le sue dichiarazioni si capisce cosa intendeva Lenin quando parlava degli utili idioti.

Referendum Costituzione 4
Art. 70 vecchia maniera: «La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.»
Art. 70 nuovo corso La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati».
E adesso alzi la mano chi, entrando nel merito, l’ha capito.

Migrati a Capalbio 1
Scandalo degli scandali ben cinquanta, diconsi cinquanta, migranti verranno mandati a Capalbio. L’allegra cittadina ha quattromila abitanti quindi i cinquanta inciderebbero nella misura del 1,25%. Una enormità. Il sindaco Pd e renzianissimo protesta veementemente: «È un complotto». Come al solito.  

Migrati a Capalbio 2
Protesta, ma con più classe, il principe Caracciolo:« Anche cinquanta migranti possono essere molti in un paese che ha come prima economia un turismo di qualità» E, si potrebbe aggiungere, anche di molti arrampicatori sociali, apparatiniki e personaggi senza arte né parte che devono la loro agiatezza solo alla politica. Facile essere ecologisti e democratici come il Caracciolo quando si tratta di difendere la proprietà dalle autostrade e dai palazzinari altro è quando si parla di accoglienza. Not in my lawn.

Migrati a Capalbio 3

Sul tema non poteva non intervenire Chicco Testa, ex aspirante ministro, che peraltro a Capalbio neanche ci abita. Il Testa Chicco ha una ricetta rivoluzionaria: «Devono lavorare e non bighellonare» Come non averci pensato prima. Visto che in Italia i disoccupati si contano sulle dita di una mano e le aziende fanno fatica a trovare dirigenti, impiegati ed operai.  E infatti i guardacoste della marina vanno a prendere i migranti in mezzo al mediterraneo solo per poterli impiegare in qualche lavoro. L’intervista al Testa  forse è stata fatta in tarda serata, prima che andasse a coricarsi ma magari dopo la canna serale. Come da sua dichiarazione a Un giorno da pecora. E poi molti gli domandano perché si chiami Chicco.

lunedì 8 agosto 2016

Renzi questa volta ha tre volte ragione.

Calma piatta sul fronte della politica. Per parlare di cose vagamente serie tocca tornare all’ultima direzione del Pd. Renzi ha lanciato tre sfide alla minoranza: cambiare il segretario, cambiare lo statuto e cambiare l’organizzazione. Da queste si dovrà partire alla ripresa di settembre. Che Bersani e gli altri abbiano le capacità di rispondere è pari a quella di Berlusconi di tenersi il Milan.
Bersani e Renzi riflettono sul nulla
In questa estate un po’ schizofrenica che alterna giornate torride a quasi uragani la politica sonnecchia. E non c’è quasi nulla di originale di cui dire. Il Corrierone simula prove d’attacco alla giunta Raggi talmente ingenue e naif da muovere a tenerezza, la Serracchiani assomiglia sempre più al megafono del capo mentre Guerini lo è sempre stato, Berlusconi nomina l’ennesimo delfino e Di Maio rispolvera la frase che fu già del predetto Berlusconi e di D’Alema , non proprio due fulgidi esempi, e dichiara: «lasciateci lavorare.» Il che detto a ridosso del ferragosto suona ridicolo. Ma chi gliela cura la comunicazione a questi?
Così per trovare qualcosa di vagamente politico di cui parlare tocca riandare indietro nel tempo e rifarsi all’ultima direzione del Pd, 3 luglio, e specificatamente all’intervento di Renzi che degli altri meglio tacere. Tra le varie paccottiglie condite a base di «è finito il tempo» e «l’orgoglio di essere del Pd» sono spiccate tre perla di rara saggezza politica. In verità condensate in poche righe e ancor meno secondi. Però come ha dimostrato Einstein non è vero che a una domanda complessa si debba dare una risposta complessa. Le grandi risposte ai grandi temi in genere sono semplici.
Il segretario-premier rivolto alla minoranza del partito che tenta goffamente di esprimere una qualche opposizione ha detto in primis che: « Se volete che io lasci, chiedete il congresso e vincetelo: in bocca al lupo.» Il che tradotto per i più sprovveduti significa: se avete una linea politica alternativa alla mia fatevi sotto. E qui il difficile è doppio. Primo perché non si è ancora capito quale sia la linea politica di Renzi per cui essere l’alternativa al nulla talvolta viene difficile. Non ci sono i termini di paragone. Secondo perché la sedicente opposizione interna del Pd una proposta politica proprio non ce l’ha. E sentendo parlare Bersani di mucche in corridoio e di tacchini sul tetto o Cuperlo che della fumosità ha fatto un’ideologia vien la certezza che questi una alternativa politica al segretario attuale non sappiano come costruirla. E non l’avevano neanche prima se è vero che, giusto per fare un esempio, i bersaniani (ex) che stanno con Renzi sono di più di quelli che girano attorno a Bersani. L’impressione, suffragata da Fabrizio Barca, è che tutti siano alla ricerca di un posto, poltrona o strapuntino che sia. E dato che i posti alla fine sono pochi ci si accapiglia: in sostanza guerra per bande. Tristezza.
Non contento di questa prima, che per la sua concretezza e serietà gli deve essere sfuggita, il Renzi ha calato la sua seconda ragione: « Se volete una modifica statutaria per separare il ruolo di segretario e premier, fatela approvare» Poi quasi a sfregio ha aggiunto: «E io sosterrò sempre chi vince: in una comunità si sta anche quando si perde.» Bravo lì. L’idea del segretario-premier era stata di Bersani che infatti da segretario è arrivato primo alle elezioni ma non le ha vinte e da aspirante premier è stato sbeffeggiato dalla cinque stelle Lombardi. Comunque il punto resta lo stesso: se non c’è un progetto politico viene difficile aggregare maggioranze per cambiare anche l’elenco del citofono.
Terza e ultima inopinata ragione: «Se volete un cambio organizzativo fate proposte» Il che in quel consesso dev’essere stato come lanciare una castagnola dentro una scuderia o forse meglio come sparare sulla Croce Rossa. È certo che i crocerossini Cuperlo, Speranza, Bersani, D’Alema, e senza dubbio alcuno Gotor, una proposta non ce l’hanno affatto. Anzi non sanno neppure come si scriva il lemma proposta. Poi, detto tra pochi intimi, per fare una proposta organizzativa ci vuole prima l’elaborazione di una proposta politica. E qui si è di nuovo a capo. Scuotere la testa come Ridolini o fare battute talvolta dai pretesi toni sarcastici e talaltra dagli incomprensibili toni agresti non aiuta.
Poi ci si domanda come abbia fatto il Renzi Matteo, che era partito con meno del 30%, ad avere la maggioranza assoluta del partito, dei deputati e dei senatori.  Se dall’altra parte si ha il nulla basta qualche chicco di grano per far sembrare la stia un eldorado e i polli corrono a frotte.
Il fatto poi che la succitata minoranza minacci di votare “NO” al referendum, la cui data slitta di giorno in giorno, è assolutamente irrilevante. Tutti insieme hanno la capacità di spostare voti pari a quella di Berlusconi di tenersi il Milan.