Ciò che possiamo licenziare

martedì 20 maggio 2014

Veronica Lario e le compagne dei preti: diritti delle donne e un (bel) po’ di ipocrisia.

Il gossipparo Chi pubblica alcune foto di Veronica Lario e, a sua insaputa, solleva un grosso tema: come invecchiare. Ben 26 donne scrivo a papa Francesco rivendicando il diritto all’amore. Che per Francesco va bene basta che il bene concupito non sia un prete.

Qualcuno ha voluto vedere un nesso tra la dura (e anche un bel po’ sgangherata) lotta politica del momento e un paio di notiziole che sotto la sottile patina del gossip celano questioni vere che hanno a che fare con il senso della vita. 

Una tratta del modo di invecchiare e l’altra del diritto all’amore. Temi intorno ai quali la filosofia teoretica occidentale ma anche quella orientale che è assai più vasta della prima ha consumato e sta consumando i migliori cervelli. Soltanto con l’enunciazione ce n’è a sufficienza per dar modo a Emanuele Severino di scrivere un nuovo libro e tenere dottissimi seminari a cui invitare belle teste pensanti oltre che qualche liftata giornalista (pretesa intellettuale) e Roberto D’Agostino che liftato non è e, per parità, neppure intellettuale. 
Ma d’altra parte anche il più serio dei seminari può permettersi un pizzico di dadaismo. Purché non sporchi troppo.

Come casus belli  sono emerse alcune fotografie di Miriam Raffaella Bartolini, in arte Veronica Lario, e una lettera inviata a papa Francesco da un gruppetto di donne. Le fotografie ritraggono la signora Bartolini in tenuta da cavallerizza e sono, come si sul dire, “rubate”. Che mai termine ebbe uso più proprio. Comunque la signora è in un maneggio, allo stato nature, cioè senza trucco e senza inganno e con le sue forme ben evidenti. Il che è logico: i cavalli non amano belletti e profumi e, in anticipo sugli uomini hanno suggerito l’uso di pantaloni aderenti anche per le signore. Ma, forse, Signorini Alfonso, direttore di Chi, su un cavallo non è mai salito anche se, magari di qualche maneggio ha pratica. In ogni caso il punto era di mostrare (forse per sbertucciarla e magari con alle spalle un ignoto mandante) una signora di quasi sessanta anni con qualche ruga in viso, un giro vita che richiede proprio un giro per misurarlo tutto e un lato b in abbondanza su quello di Pippa Middleton.. E fin qui non c’è nulla di veramente interessante salvo che per circa trecentomila e briscola, tra maschi e femmine italiani, che settimanalmente versano un obolo a Mondadori per cacciare il naso nei fatti altrui. Contenti loro di vivere la vita per procura.

La cosa degna di nota è invece la risposta che Miriam Bartolini, aiutata dall’amica Latella, ha dato passando per il Messaggero, quotidiano romano: ognuno invecchia come crede e come vuole. E talvolta come può. Che a dire che la vecchiaia non sia una malattia (come peraltro la gioventù) ma solo uno stadio della vita si è tanto veritieri da risultar banali. C’è chi convive con rughe ben in vista e chi con riporti di pelle dietro le orecchie. A ciascuno il suo. Ci sono le super liftatc (anche maschi) e quelle che a farsi liposuzzurre o tagliuzzare non ci stanno. E fanno bene. Perché un conto è invecchiare con la propria faccia e un conto è assomigliare alle altre che han subito lo stesso trattamento e poi tutte insieme, taglio dopo taglio, prendere sempre più le fattezze di Joker, il cattivo  interpretato da Jack Nicholson in Batman. Che vederlo al cinema diverte trovarselo in ascensore, magari travestito da donna, spaventa. Quindi questione di libertà e anche, almeno un po’, di buon gusto e soprattutto di lungimiranza. Le rifatte si riconoscono ad occhio nudo e più che sollevare ammirazione, che gli piacerebbe, s’avviliscono nel ridicolo: stessi occhi da cinesi, stessi labbroni formato canotto che tirano all’insù  e stessi pomelli a palla da biliardo. Insomma stesso Joker.

C’è però da dire che a confrontare le foto d’antan di Miriam Bartolini e quelle attuali  par di cogliere che un qualche interventino, magari di anni non recenti, pur c’è stato. E sarebbe carino se oltre alla petizione di principio ci fosse pure un pizzico di palese rincrescimento. Il che aiuterebbe a meglio contestualizzare il fatto e a far capire che l’essere farlocco e senza sostanza non solo si vede ma neppure aiuta. Che rinsavire dichiarandolo, come direbbe Antonio Razzi, è bello.

Di altra fatta la storia della lettera delle ventisei amanti-fidanzate-compagne di altrettanti preti che rivendicano il diritto all’amore. Anche qui essere contro viene difficile. Ma c’è in questa storia un non so che di bruciato e olfattivamente sgradevole. Il contesto suona strano e sembra studiato apposta per essere giocato di sponda: una sorta di birillo tirato tra i piedi di Francesco. Magari per distrarlo da altro.  Innanzi tutto il fatto che la lettera sia diventata di dominio pubblico. Va bene che i servizi di sicurezza del Vaticano fanno più acqua di uno scolapasta ma adesso si esagera, tanto da far apparire Paolo Gabriele (il cameriere traditore di Ratzinger) una specie di sfinge omertosa.. Il fatto che non riescano a mantenere, non si dice segreta, ma almeno riservata una lettera inviata al Papa fa pensar male. La qual cosa, come noto, non aiuta per il paradiso ma dà una mano a far si che, in terra ,ci si pigli. 

Poi c’è  il fatto che le 26 signore in questione siano sparse su tutto il territorio nazionale e addirittura all’estero. Chissà la fatica a raccogliere le firme. E poi chissà come si sono incontrate dato che una pagina su facebook ancora non ce l’hanno. E forse ci vuole fantasia, ma magari anche no, ad immaginare che fossero al seguito dei loro amati convocati per gli annuali esercizi spirituali in qualche sperduto monastero.  Così mentre i maschietti discutevano sull’amor divino nelle cappelle loro, le signore, come le mamme del doposcuola, magari al bar della parrocchia, trattavano lo stesso ma in chiave profana. Tesi ardita ma le vie della provvidenza, si sa, sono infinite. E neanche sempre molto chiare. 

Anche il numero delle firmatarie fa pensare: o troppo esiguo, solo 26 o troppo alto.. Visto che c’è chi conta in più di mille l’anno i preti che se ne vanno e senz’altro quello dell’amore è la causa principale. Oppure come dice l’Annuarium Statisticun Ecclesiae quelli che hanno abbandonato in Italia sono stati 31, dato però però che risale al 1998 che con i numeri a volte la Chiesa ci va stretta.  E lenta.  E comunque qualche già sposato nella Chiesa cattolica già c’è sono i cosiddetti anglicani-cattolici e i preti della Chiesa d’oriente. L’ipocrisia sta nel dire che si accettano solo quelli che (convertiti) erano già sposati. Come se la legge possa essere plasmata sui singoli casi. 

Per chi vorrebbe il matrimonio il motivo è chiaro. Per chi invece no si arzigogola sul vago. La differenza sta tutta tra scelta teologica, principio di derivazione divina, e scelta culturale che un po’, forse ha a che fare col trascendente ma anche molto con il concreto pragmatismo e lo stare nella società.  
Il pensiero di Francesco al riguardo è molto chiaro (al di là di ogni condivisione) e recita così: se sei diventato padre devi stare con tuo figlio e quindi lascia l'abito talare. Se non sei padre ma solo innamorato devi scegliere: o la donna o la Chiesa. Le due cose insieme, no. Che a parlar d’amore son tutti buoni quanto poi a metterlo in pratica il numero si assottiglia. Comunque bene che si sia formata la prima cellula dell’internazionale delle concubine del cler: ha un che di catarchico. Anche se non sarà una fidanzata-moglie-compagna a cambiare lo spirito della Chiesa. A proposito la politica con queste due notizie non c’entra nulla.


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